martedì 29 marzo 2011

Erasmus in Norvegia. NTNU di Trondheim.

Alessandro Boron e' un ragazzo che sta facendo un esperienza di studio nella famosa NTNU di Trondheim, in Norvegia.

Dopo aver passato qualche anno di troppo sui libri mi laureo (Laurea Triennale) in Informatica all’università di Roma “Tor Vergata” a Maggio 2008. Non avevo moltissima voglia di proseguire con gli studi e così decido di fare un’esperienza all’estero, quindi mi trasferisco prima a Londra ed in seguito a Brighton dove abita mia cugina insieme al ragazzo. Rimango in UK per circa un mese e mezzo, partecipo a un corso di Inglese e decido di tornare in Italia per proseguire con la laurea specialistica ma con la consapevolezza di riprovare un’esperienza simile una volta laureato.


Quando hai deciso di fare l'Erasmus?

Un giorno mi contatta un mio collega, dicendo senza troppi giri di parole: - Andiamo in Erasmus? -. La mia risposta non è stata da meno e senza pensare a nulla ho risposto subito di si. L’idea di partire nove mesi per l’estero non mi faceva stare nella pelle. Superato un breve momento di indecisione, decidiamo di presentare la domanda per partecipare al progetto Erasmus. Potevamo scegliere tra: Trondheim (Norvegia), Copenaghen (Danimarca), Parigi (Francia) o Salonicco (Grecia). Ma ciò che volevamo entrambi era una cittadina di medie dimensioni e un posto dove poter migliorare la lingua inglese, quindi alla fine abbiamo optato per Trondheim città universitaria a 500km Nord di Oslo. Non meno importante era la NTNU - Norwegian University of Science and Technology, la miglior università norvegese per le materie ingegneristiche.


Come hai fatto, in pratica, ad iscriverti al programma di studio?

Per iscriversi al programma bisogna compilare un modulo on-line, reperibile sul sito del nostro corso di laurea, e poi consegnarlo in segreteria di facoltà. Step successivo è quello di scegliere gli esami da sostenere nell’università estera. Bisogna prestare attenzione alla scelta degli esami poiché il programma deve essere coerente con quello degli esami italiani altrimenti vi è il rischio che essi non vengano convalidati. Per la scelta degli esami siamo stati aiutati dal nostro responsabile per il programma Erasmus del nostro corso di laurea. Il Professore si è mostrato sempre disponibile nei nostri confronti contattando anche suoi contatti presso l’università di Trondheim per avere suggerimenti sugli esami da farci sostenere.


Conoscevi già il Norvegese prima di partire?

Nei! Se devo essere sincere non lo parlo nemmeno ora. Conosco qualche parola, frasi elementari ma non potrei mai sostenere un discorso. Con l’università non ho avuto problemi, tutti i corsi scelti sono in lingua inglese, per il resto il 90% della popolazione parla un ottimo inglese quindi non si avverte la pressione di imparare la lingua locale per comunicare. Ho comunque tentato di seguire un corso di norvegese per interesse personale ma ho dovuto poi interromperlo perché gli orari si sovrapponevano con quelli delle lezioni all’università.


Sapresti dirci se esistono delle diversità tra l'università Italiana e quella Norvegese.


Potrei iniziare a scrivere ora e finire tra una settimana. Sono due realtà
troppo differenti. Ne riporto qualcuna di seguito:


  • L’università pubblica Norvegese è gratuita: bisogna pagare solamente una tassa ciascun semestre (semester fee) pari a circa 60 Euro o poco meno che è destinata alle associazioni studentesche.
  • L'NTNU ha le stesse risorse strumentali di un'università privata e tali sono usufruibili in qualunque momento: l'università e' sempre aperta con tantissimi laboratori di informatica e qualsiasi tipo di stampa/fotocopia è gratuita; tutti gli studenti sono in possesso di una student card con la quale possono accedere anche di notte alle aule studio e ai laboratori.
  • Il rapporto tra professore-alunno è molto rilassato: non bisogna rivolgersi a un professore venerandolo. Si è praticamente considerati alla pari.
  • L’università oltre che dal governo è finanziata dalle industrie: spesso le industrie organizzano meeting per farsi conoscere e conoscere giovani studenti su cui investire.
  • Corsi strutturati tra assignments (esercizi da fare a casa) e progetti: durante il semestre vengono assegnati vari compiti il cui superamento darà accesso all’esame o sarà usato per calcolare la media del voto finale. L’aspetto positivo è che costringe lo studente a studiare durante il semestre e a non ridursi alla settimana prima dell’esame.

Consigli per chi vuole seguire le tue orme?

Consiglio vivamente di partire per l’Erasmus qualunque sia la destinazione. E’ un’esperienza unica sia a livello universitario che a livello personale, soprattutto. Ti da modo di conoscere gente proveniente da tutto il mondo e di incontrare nuove culture. Prima della partenza avevo sentito solo voci sull’esperienza Erasmus, ma non potevo minimamente immaginare cosa fosse realmente. Ora che lo so non posso non consigliare di partire!


Emigrerai una volta finiti gli studi universitari in Italia?

Diciamo che i miei studi in Italia non sono più proseguiti. Lo scorso anno insieme al mio amico abbiamo deciso di fare domanda per il master internazionale (La laurea specialistica in lingua Inglese) in Information Systems e siamo stati ammessi, quindi eccoci qui a tutti gli effetti studenti dell’NTNU.

Ha det bra


venerdì 11 marzo 2011

Emigrare all’estero. Come sopravvivere allo shock culturale

Il maggior ostacolo da superare quando si decide di emigrare all'estero, non e' ne la ricerca di un lavoro, ne trovare un posto dove stare, ne tanto meno dover imparare la lingua del luogo ospitante.


Nel 1958, l'antropologo Kalervo Oberg osservo’ per la prima volta che lo shock culturale non avviene come una serie di eventi casuali, ma questa condizione evolve in una serie di cinque fasi.

Difatti fu' proprio Oberg ha coniare per primo il termine shock culturale, affermando che tale shock e' causato dalla "ansia che deriva dalla perdita di tutti i nostri segni familiari e simboli dei rapporti sociali", mentre si vive e si lavora in un ambiente straniero alla nostra cultura.

"Quando un individuo entra a far parte di una cultura straniera", scrisse Oberg, "tutti o la maggior parte di questi segnali familiari sono stati rimossi. La persona si sente come un pesce fuor d'acqua. Non importa quanto sia di larghe vedute o pieno di buona volontà, una serie di sostegni vitali per il suo equilibrio cederanno rapidamente sotto ai suoi piedi".

Si definisce quindi shock culturale la sensazione iniziale che si fa fronte nei primi periodi di vita all'estero, e prevede cinque fasi distinte che bisogna attraversare prima di potersi sentire sufficientemente ambientati.


Fase 1: la luna di miele. I primi mesi di vita all'estero sono per cosi' dire un periodo di luna di miele in cui tutto è nuovo, emozionante ed affascinante. Tutto sembra accadere come in un sogno, contenti di aver scelto di cambiare vita andando a vivere all'estero. Ma come tutti sanno, nessun viaggio di nozze dura per sempre.

Fase 2: il rifiuto. Tutta l’eccitazione iniziale poco a poco si esaurisce cosi’ come le nuove eccitanti ed affascinanti esperienze. Si torna con i piedi per terra e si inizia ad affrontare la routine di tutti i giorni.

Improvvisamente si inizia a scoprire che il modo di fare le cose in quel luogo, anche in modo professionale, non coincido al proprio. I negozi non sono aperti quando se ne ha bisogno, o magari non si trova quello che si sta cercando. Il tempo libero è frustrante, perché ogni svago deve essere svolto usando un'altra lingua. Non ci sono i luoghi affezionati dove andarsi a distrarre, inizi a provare un senso di noia nello spendere giornate con persone che non puoi capire del tutto.

Iniziano cosi' ad aumentare le difficoltà nell'adattamento, convincendosi che nessuno e' d'aiuto nel superare questo tipo di stress. Addirittura ci si convince sempre più che le persone non siano in grado di capire questo malessere, o che ne siano in alcun modo interessate.

Questo a sua volta innesca quell'emozione che è uno dei sintomi più certi dello shock culturale, ovvero l'ostilità al nuovo ambiente. Si comincia cosi' ad odiare il paese ospitante e tutto ciò che si lega ad esso.

Fase 3: la regressione. Una volta che ci si avvia a respingere la cultura ospitante, è molto più difficile tornare sui proprio passi. Si può decidere di provare un nuovo approccio, con un bel sorriso sul proprio viso sforzandosi di cambiare il proprio atteggiamento. Oppure si sceglie di percorre un'altra strada, più semplice, che purtroppo percorrono in molti in questi casi. Si sceglie la chiusura in se stessi.

In quest'ultimo caso, i segni del fallimento nella nuova versione di se stessi in ambiente straniero sono abbastanza chiari: il rifiuto di continuare ad imparare la lingua locale, di fare amicizia con la gente del posto, o di fare qualsiasi attività che possa portare maggiore interesse verso la cultura locale. Seguendo questo percorso, l'individuo tende sempre più ad isolarsi ed a far crescere dentro si se il senso di antagonismo nei confronti della gente del luogo. Si andrà alla ricerca di simili, che nutrono le stesse sensazioni per poter attaccare la cultura locale, senza rendersi conte che il problema potrebbe risiedere da un'altra parte.

Con il passare del tempo, si e’ sempre più di fronte ad un bivio: scegliere di restare o ritornare in patria?

Fase 4: l'accettazione. Se si supera la fase 3, e quindi si sceglie di restare, la strada per il superamento dello shock culturale tende ad essere in genere più agevole.

Una volta superata questa fase, ci si ritroverà a sorridere o ridere di alcune delle cose che hanno causato tanto dolore in partenza. Quando questo accade, si e’ sulla strada dell'accettazione. Quando ci si inizia ad ambientare verso la cultura, la lingua ed i costumi locali, l'autostima e la fiducia ritorneranno. L’affetto per la nuova casa passera’ da accettazione riluttante ad affetto genuino. Si potrà finalmente capire che non è tutta una questione di "li' e’ peggio o meglio di qui".
Ci sono diversi modi di vivere la proprio vita e nessun modo è davvero meglio di un altro. E' solo diversa da come la si viveva prima.

Fase 5: Il rientro. Quando il periodo all’estero sta per concludersi, si inizia a pensare come sarà bello ritornare in un ambiente familiare, nuovamente tra amici e parenti e tutte le attività che si amavano fare.

Bisogna pero' sottolineare il fatto che i primi tempi si era costretti a vivere in un posto a proprio dire inospitale, che poi lentamente si e’ iniziato ad amare, probabilmente affrontando le proprie convinzioni di lunga data e di atteggiamenti che gradualmente sono stati via via sostituiti a dei nuovi valori e ideali.

Proprio per quello che si e' appresso durante tutto quel periodo di assenza, le nuove abitudini, il nuovo stile di vita, l'aver accettato la nuova versione di se in un paese straniero, porta nuovamente a delle difficoltà nel far ritorno alla vecchia casa.

Ci vorrà un po' per riprendersi con la cultura di origine, ed e’ bene concedersi un po’ di tempo per riadeguarsi nuovamente al vecchio ambiente, prima di ritornare alla vita di sempre.

Ma questa volta sarà possibile ridurre al minimo lo shock del rientro, ma solo se si avrà coscienza delle proprie reazioni e, soprattutto, prendendo le cose con un atteggiamento più positivo.


A questo punto e’ lecito chiedersi: voglio andare all'estero, ma e' possibile evitare tutto questo shock? La risposta e' no!

A meno che non ci sia stata un’esperienza precedente a questa, anche in senso negativo, non c’e' un modo per prevenirsi ad un cambiamento, che comunque porterà ad una migliore comprensione di se. Quindi tanto vale accoglierla in senso positivo.

Ma allora come si può superare? Basta imparare a riconoscere questi segnali dentro di se. Mentre non si può impedire il verificarsi di uno shock culturale, è possibile adottare misure per ridurre e mitigare i suoi effetti. La gente spesso associa lo shock culturale con frustrazione, irritazione, stanchezza, ansia e depressione, con la tendenza ad isolarsi per sfuggirne agli effetti.

Quindi cercate di dare ascolto al vostro Informatico Migratore, e fate come vi dico.

Andate con il flusso! L’auto-consapevolezza è la strategia migliore per superare lo shock culturale.

L'ignoranza non porta alla beatitudine. Lo shock culturale arriva sempre, che vi piaccia o no. Probabilmente c'e' chi lo supera in un istante, chi invece ci mette un po'. Ma niente dura per sempre, quindi fatevi coraggio!

Non date la colpa agli altri! Quando si e’ giù ed in difficoltà, siate consapevoli che il problema probabilmente e’ dato da un malessere interiore, piuttosto che da una fattore esterno.

Imposta un obiettivo e seguilo! Più occupati si è, meno tempo si ha per pensare a quanto ci si sente tristi. Cercare di organizzare qualcosa di piacevole per guardare al futuro puo’ essere un buon modo per superare lo shock. Fissare degli obiettivi, come ad esempio farsi degli amici, può essere un rimedio all’isolamento.

Quando sei a Roma, fai come fanno i romani! Adattare il proprio stile ai costumi locali può essere dura all’inizio, ma a lungo andare porterà a dei benefici. Evitare un atteggiamento difensivo e cercare di integrarsi il più possibile possono essere un buon rimedio.

Non cercare il meglio dei due mondi! Il miglior modo per superare il proprio shock culturale è capire che non è una questione di cultura. A volte e' più facile non volersi più sentire stranieri una volta messo piede all'estero, bisogna invece imparare a non rifiutare completamente la propria cultura, né quella locale.

Prima si raggiunge la comprensione delle diversità delle frontiere culturali, più facile sarà godersi la ricchezza del meglio di due mondi.


domenica 6 marzo 2011

Lavorare come programmatore in Francia

Trasferirsi all’estero é per certi versi come tornare bambini, ogni cosa è nuova e va imparata, compresa e capita. (Andrea Di Muzio)


Andrea Di Muzio parti’ anni fa con la compagna dall’Italia per andare a cercare fortuna altrove. Ora vive ad Antimbes e lavora nella vicina Sophia Antipolis, in Francia. Il vostro Informatico Migratore lo ha intervistato per voi.

Da quanto tempo vivi li’?

Ormai sono più di 10 anni. Il primo anno é stato molto duro, principalmente a causa della lingua. Trasferirsi in Francia senza parlare una parola di francese è un’esperienza che non consiglio a nessuno. Il fatto di non parlare la lingua mi ha messo spesso e volentieri in difficoltà anche nelle cose più banali quali comprare il pane o trovare un appartamento in affitto.


Come sei arrivato a Sophia Antipolis?

Per puro caso, ho trovato un annuncio di lavoro di un'azienda appena nata e mi sono lanciato. Quando ho scelto di partire mi sono sentito bene, come se fosse la scelta più logica, e pieno di voglia di scoprire cose nuove. Ora mi occupo di soluzioni di content distribution su WAN come software project manager.


Come mai hai scelto di studiare informatica?

Un Texas Instrument T994A. Scoprire che era possibile mettere in ordine dei pensieri per dargli una forma e farli lavorare insieme per raggiungere uno scopo. Costruire qualcosa dal niente usando come strumento solo la propria mente.


Quali sono state la ragioni che ti hanno spinto a vivere all'estero?

La voglia di avventura per prima cosa, seguito dalla voglia di mettermi alla prova, il fascino di scoprire posti diversi, culture diverse.


Come mai proprio la Francia?

Non ho scelto il paese ma il lavoro, quindi non è stata una scelta cosciente. I pro sono la società, lo stato sociale, l'idea che l'uomo è comunque al centro della vita. I contro l'eccessivo patriottismo e l'eccessiva esaltazione di tutto quello che é francese.


Come descriveresti il settore IT francese con quello italiano?

Il giorno e la notte. A partire dagli stipendi per arrivare ai contratti. Anche se la mia esperienza lavorativa in Italia è stata molto limitata, di sicuro c’è una grossa differenza sulle condizioni economiche offerte al personale IT, sia a livello di condizioni contrattuali che di stipendio. Diciamo che in Francia una persona che sceglie di lavorare nel settore IT può decidere di non avere un contratto a tempo indeterminato perché a lui conviene cosi. Ma non sarà mai l'azienda a proporlo. Un contratto a tempo indeterminato è la regola. E uno stipendio più che decente, di quelli che può mantenere un'intera famiglia.


Torneresti mai in Italia?

Si forse raggiunta la pensione. Decisamente non è nella mia lista di cose da fare nel futuro prossimo.


Cosa ti senti di dire a chi vorrebbe compiere la tua stessa scelta‭? ‬

Trasferirsi all’estero é per certi versi come tornare bambini, ogni cosa è nuova e va imparata, compresa e capita. La caratteristica principale é l’entusiasmo e la voglia di imparare sempre in ogni momento. Serve anche tanto senso di adattamento, per quanto vi possiate sentire integrati e ben accetti, sarete sempre ospiti in casa altrui: da buoni ospiti dovete sempre accettare e rispettare le regole del padrone di casa.


Grazie Andrea.